Il 23 maggio del 1493 inizia la storia del cavallo in America con una “Real Cédula de los Reyes Católicos” che ordinano l’invio nel Nuevo Mundo di 20 cavalli e 5 giumente selezionati nel Reino de Granada per il secondo viaggio di Cristóbal Colón.
““El rei e la reina: Fernando de Zafra nuestro secretario, Nos mandamos hacer cierta armada para inviar a las islas e tierra firme que agora nuevamente se han descubierto e han de descubrir en el mar Océano a la parte de las Indias e para aderezar la dicha armada con el almirante d. Cristóbal Colon, enviamos allá a don Juan de Fonseca, Arsediano de Sevilla y porque entre la otra jente que mandamos ir en la dicha armada havemos acordado que vayan veinte lanzas jinetas a caballo: por ende Nos mandamos que entre la gente de la hermandad (cuerpo de policía de caminos y fronteras) que están en ese reino de Granada escojáis las dichas veinte lanzas, que sean hombres seguros y fiables, e que vayan de buena gana; e los cinco de ellos lleven dobladuras (dos caballos) e las dobladuras que llevaren sean yeguas; a los cuales dichos veinte lanzas hase de pagar el sueldo de seis meses adelantados, de cualquier marabedis que allá tiene los tesoros de la Hermandad para la paga de la jente …”
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Nelle “Storie del Nuovo Mondo” di Fernando Colombo i cavalli vengono citati diverse volte in occasione di scontri con i nativi. “specialmente confidandosi nei cavalli, dai quali gl’Indiani temevano d’essere divorati., e per ciò tanto era il loro spavento che non ardivano entrare in alcuna casa ove vi fosse stato un cavallo”.
Una tavola di Milo Manara per il libro “Cristoforo Colombo” di Enzo Biagi dà l’idea del terrore che incutevano i cavalli agli indios che non li avevano mai visti.
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Il primo a sbarcare cavalli sul continente americano fu Hernán Cortés che il 7 luglio 1521 presso Otumba ebbero la meglio sull’eserciyo azteco grazie a 22 cavalli e relativi cavalieri pesantemente corazzati e armati di lancia che si scagliarono contro i capi dell’esercito azteco, avendone la meglio, sconfisse anche il resto dell’esercito, rimasto privo di comandanti. Dopo una lunga serie di attacchi aztechi e di scaramucce, i due eserciti si scontrarono in campo aperto il 7 luglio presso la città di Otumba. Fu il vero giro di boa nella Conquista del Messico. Cortès aveva ancora a disposizione 22 cavalli e grazie a questi cavalieri, pesantemente corazzati e armati di lancia, che si scagliarono contro i capi dell’esercito azteco, avendone la meglio, sconfisse anche il resto dell’esercito, rimasto privo di comandanti. Nonostante l’inferiorità numerica, gli spagnoli riuscirono a ribaltare la situazione, grazie anche al supporto di mercenari di Tlaxcala ostili agli aztechi.
Incisione su acciaio del 1870 che evidenzia la battaglia di Tenochtitlan avvenuta il 13 agosto del 1521 e vinta grazie ai cavalli . Sulle ceneri di Tenochtitlán fu costruita Città del Messico.
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Anche con Pizzarro i cavalli ebbero un peso determinante nella conquista. Alla morte di Huayna Capac, undicesimo sovrano della dinastia Inca si scatenò tra i suoi figli una dura lotta per la successione: da una parte il figlio illegittimo Atahualpa che si era insediato a Quito e a Cajamarca, dall’altra il figlio legittimo Huascar, trincerato a Cuzco, l’antica capitale degli Inca. I due eredi al trono vennero informati dell’arrivo di uomini bianchi, armati, protetti da corazze di metallo e seduti su strani animali chiamati cavalli. Questo confermava le profezie dei sacerdoti che da tempo erano preoccupati per i cattivi presagi mandati dagli dèi.
Dappertutto le popolazioni avevano un sacro timore nei confronti dei cavalli. La battaglia decisiva si ebbe a Cajamarca il 16 novembre 1532 dove Francisco Pizarro con 62 uomini a cavallo e 106 fanti attaccò di sorpresa 30.000 truppe incas facendone un massacro e catturando Atahualpa. I racconti del tempo, riportati dagli uomini di Pizarro, spiegano come le forze spagnole abbiano sfondato usando una carica della cavalleria contro gli indigeni che mai avevano visto i cavalli .
Olio su tela del pittore peruviano Juan Lepiani che rappresenta la cattura di Atahualpa a Cajamarca (1532) con i cavalli in primo piano.
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Con l’arrivo degli Spagnoli nel continente americano il cavallo trovò un habitat ideale, riuscì a sopravvivere e a moltiplicarsi.
Probabilmente, i grandi branchi di cavalli selvaggi che nel giro di poco tempo popolarono le pianure, ebbero origine dai pochi esemplari scappati agli Spagnoli. In circa 250 anni tutte le popolazioni indiane vennero a contatto con la razza equina. Poco alla volta l’Indiano si trasformò in un esperto cavallerizzo ma soprattutto in un ottimo cacciatore.
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I mustang
Discendenti dagli Andalusi che furono portati in America dai conquistadores spagnoli nel XVI secolo, alcuni esemplari fuggirono e diventarono selvaggi. Così per secoli i Mustang vissero alla stato brado prima di diventare i cavalli degli indiani e dei cowboy.
Riunitisi in immensi branchi si diffusero negli Stati Uniti occidentali fino alle regioni del Messico del nord. Da milioni di cavalli selvatici abituati a vivere in branco, dal 1970 il loro numero si è drasticamente ridotto in seguito ad una caccia indiscriminata per soddisfare la richiesta di cibo. Oggi il Mustang è diventata una razza equina protetta dalle leggi americane e tutelato da associazioni come il Wild Horse Research Center di Porteville.
I tratti caratteristici principali della razza Mustang
In America il Mustang viene chiamato anche Berbero Spagnolo, sono cavalli fantastici molto diversi dai loro antenati. La riga mulina scura e la coda fluente sono la prova evidente della discendenza con il ceppo iberico.
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L’Appaloosa, il cavallo degli indiani d’America.
Il termine “Appaloosa” deriva dal fiume Palouse, che attraversa gli Stati di Washington e Idaho, lungo i quali argini vennero allevati i primi esemplari della razza esportata dagli spagnoli nel XVI secolo. Gli uomini bianchi usavano chiamarli “Palaouse horse”, col tempo modificatosi in “Apalousey” e dunque Appaloosa.
L’Appaloosa è una delle razze più riconoscibili anche da chi non ha grande dimestichezza con i cavalli. Il suo mantello è prevalentemente maculato, esclusivamente sulla groppa o su tutto il corpo.
Dipinto dell’artista americano Sharon Sharpe “Indian travois & Appaloosa horse”. Il “travois” era un tipo di slitta utilizzata dagli indiani nordamericani per trasportare merci, costituita da due pali uniti trascinati da un cavallo .
Nell’isola Grande Abaco nelle Bahamas vivevano ancora i cavalli diretti discendenti dei cavalli arrivati nel Nuovo Mondo con la seconda spedizione di Cristoforo Colombo. Sino alla fine del 1800 erano rimasti a Cuba dove uno studio aveva certificato che il loro DNA era quello di una razza equina spagnola di origine berbera. In seguito una compagnia di commercio legnami li portò ad Abaco e li utilizzò come forza motrice sino al 1940. All’arrivo dei trattori i cavalli vennero abbandonati a loro stessi e prosperarono tranquillamente per diversi anni. Intorno al 1960 se ne contavano circa 200. Purtroppo un uragano distrusse la foresta dove vivevano e il loro numero calò rapidamente sino alla sola puledra “Nunki” . Il 28 luglio 2015 la società che si occupava di preservare i cavalli selvaggi dell’isola Grande Abaco ha dato l’annuncio della morte di Nunki che aveva circa venti anni. I tessuti della cavalla morta sono stati inviati ad una sociertà americana che si interessa di clonazione, con la speranza di salvare i cavalli di Abaco dall’estinzione.
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