Gonzalo Fernández de Oviedo Valdés ( Madrid 1478 – Santo Domingo 26 giugno 1557).
Botanico, militare, scrittore, etnografo e colonizzatore spagnolo.
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Ritratto di Oviedo all’Academia Colombiana de Historia
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Oviedo nacque a Madrid da una stirpe della piccola nobiltà asturiana e fu educato alla corte di Ferdinando e Isabella.
A dodici anni fu paggio del duca di Villahermosa (nipote del re Ferdinando), e poi a quattordici servitore dell’infante Juan, figlio dei Re Cattolici, dove incontrò i figli di Cristoforo Colombo. Nel 1497 alla morte del principe Juan andò in Italia per tre anni prima di tornare in Spagna dove venne incaricato ufficialmente da Ferdinando il Cattolico di redigere una storia cronologica dei re di Spagna, Napoli e Sicilia. Nel 1506 venne nominato Notaio apostolico e segretario del Consiglio dell’Inquisizione, e nel 1507 segretario di Madrid.
Nel 1514 Oviedo fu inviato per un anno a Santo Domingo con l’incarico di ispettore della fusione e della marcatura dell’oro e di segretario sovrintendente alle miniere. Tornò alle Indie nel 1520 dotato ancora una volta di cariche ufficiali. Al suo ritorno in Spagna nel 1523 presentò a corte la sua ultima opera detta il “Sumario” ovvero “De la natural historia de las Indias“ , pubblicato in Toledo nel 1526, ricevendo unanimi elogi. Ricevette anche le funzioni di governatore di Cartagena de Indias dove restò sino al 1530.
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Copertina dell’edizione del 1557 “De la natural historia de las Indias”.
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Per l’enorme esperienza acquisita dei territori americani il re Carlo V lo nominò il 18 agosto del 1532 “Cronista oficial de las Indias“. Fu anche alcalde (sindaco) della Fortaleza Ozama, a Santo Domingo, nella Repubblica Dominicana, dove c’è una sua grande statua, donata dal re di Spagna.

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Oviedo non sembra simpatizzzare con gli indigeni, dei quali aveva una brutta opinione considerandoli crudeli e addirittura degenerati.
Questo lo mise in profondo dissenso con Bartolomé de las Casas. Però negli ultimi anni della sua vita forse ebbe un ripensamento dato che nei suoi scritti denunciava le atrocià che venivano commesse dai conquistadores.
Fece altre cinque visite nelle Americhe prima della sua morte, avvenuta a Santo Domingo il 26 giugno 1557.
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Nella sua opera “De la natural historia de las Indias” Oviedo parla di 9 o 10 indiani portati in Spagna da Cristoforo Colombo . Uno morì in mare, due o tre vennero lasciati nella città di Palos, i restanti sei vennero portati alla Corte dei Sovrani Cattolici a Barcellona.
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Secondo Fernández de Oviedo, c’erano 9 o 10 indiani portati da Cristoforo Colombo, uno dei quali morì in mare, due o tre persone vennero lasciati nella città di Palos, le restanti sei sono quelle che si recarono alla Corte dei Sovrani Cattolici.
Colombo portò diversi indiani nel suo viaggio di ritorno, anche se non c'è accordo sul loro numero tra i sostenitori colombiani: alcuni (Pedro Mártir)
dicono che fossero sei, uno dei quali morì durante il viaggio; altri quella quattordici e quella di loro morirono durante il viaggio e altri si
ammalarono. Padre Las Casas racconta che quando la "Niña" arrivò a Lisbona (6 marzo 1493), molta gente venne a vedere gli indios, come se fosse uno
spettacolo ("oggi tanta gente è venuta a vederla e a vedere gli indios, dalla città di Lisbona, che era oggetto di ammirazione")
Da Lisbona Colombo salpò per Palos e da lì, via terra, per Barcellona dove si trovava la Corte. Serra y Postius ("Storia di Monserrate") si riferisce
a ciò che accadde a Barcellona quando nel 1493 Colombo apparve a quella corte con gli indiani che aveva riportato dal suo primo viaggio:
“Pochi giorni prima che i Re lasciassero Barcellona, gli Indiani chiesero il santo battesimo, essendo istruiti nella dottrina cristiana, e i Re
furono molto felici di poter offrire a Dio i primi frutti di quella gentilezza. Furono battezzati in pompa magna nella cattedrale, essendo padrini
i Re e con loro il Principe Don Juan. Erano tutti del colore della mela cotogna, bassi di corporatura, con capelli neri e cadenti, e nasi larghi:
portavano orecchini d'oro nelle orecchie e nel naso".
Non sappiamo più nulla di questi indiani, battezzati, volenti o nolenti, se tornarono con Colombo nel suo secondo viaggio, se sopravvissero a un clima
e condizioni di vita così diverse da quelle delle loro isole, se si stabilirono in Spagna... Io, almeno, non ho letto nulla al riguardo, tranne che
uno degli indios battezzato come Juan de Castilla, fu nominato paggio, anche se purtroppo morì poco dopo.
Post scriptum 1: Stiamo facendo questa voce di patch che attesta sia la nostra curiosità che la nostra ignoranza. Il fatto è che Gonzalo Fernández de
Oviedo, cronista della Storia delle Indie, e testimone oculare dell'arrivo di Colombo a Barcellona, dà qualche notizia in più su questi sei indiani
battezzati a Barcellona: "... e un indiano [di quelli battezzati] che era il più importante di loro, chiamavano Don Fernando de Aragón, che era
originario di questa isola spagnola e parente del re o cacicco Guacanagari. E chiamarono un altro Don Juan de Castilla, e agli altri furono dati altri
nomi, come avevano chiesto, o i loro padrini concordarono che fossero dati, in accordo con la Chiesa cattolica. Ma il principe [don Juan] voleva che
quel secondo chiamato don Juan di Castiglia rimanesse nella sua casa reale e fosse trattato molto bene e considerato come se fosse il figlio di un
nobile gentiluomo, per il quale aveva molto amore. E gli ordinò di indottrinare e insegnare nelle cose della nostra santa fede, e lo affidò al suo
maggiordomo Patiño; Ho visto un indiano in uno stato che parlava già bene la lingua spagnola e dopo due anni è morto.
Tutti gli altri indiani tornarono su quest'isola durante il secondo viaggio che l'Ammiraglio fece... nuova nota 2
A questi primi immigrati ne seguirono molti altri. Durante il suo secondo viaggio, mentre si trovava nella città di recente fondazione di La Isabela
sull'isola di Hispaniola (l'attuale Santo Domingo), Colombo scrisse un memoriale datato 23 gennaio 1494, supplicando i re tramite Antonio de Torres,
capitano della nave Marigalante e guardiano di La Isabela, in cui, tra molte altre cose, dice loro quanto segue:
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