Bartolomé de Las Casas (Siviglia 1474 – Madrid 1566 ). Alcune fonti lo fanno nascere nel 1484.
Figlio di un panettiere, di cognome Peñalosa, e sua moglie dal cognome Casaús castiglianizzato in Las Casas).
—————————————————————–
Fray Bartolomè de las Casas “protector del indio americano” in un dipinto del pittore colombiano Coriolano Leudo Obando (Bogotá, 1866 – Villeta (Cundinamarca), 1957). Dipinto oggi all’Accademia Colombiana de Historia.
————————————————————————–
Bartolomè ebbe modo di seguire sin da fanciullo l’epopea colombiana.
Nel 1493 aveva diciannove anni quando Cristoforo Colombo tornò a Palos dando la notizia dell’arrivo alle Indie. Nello stesso anno il 25 settembre l’Ammiraglio del Mare Oceano salpò per il suo secondo viaggio da Cadice con ben 17 navi, una delle quali la Niña denominata Santa Clara. Tra i 1.200 uomini imbarcati vi erano anche il padre Francesco o Pedro e lo zio di Las Casas.
A sua volta Bartolomé partì da Cadice per Hispaniola il 13 febbraio 1502 con la spedizione di Don Nicolás de Ovando, nuovo governatore delle Indie per curare gli interessi coloniali della famiglia. Fu testimone delle vicende del quarto viaggio di Cristoforo Colombo 1502-1504), del quale lesse e trascrisse il “Giornale di bordo”.
Nella Historia de las Indias, racconta che a partire dal 1505 gli furono assegnati in encomienda un certo numero di indios per lavorare nei suoi terreni e miniere, facendolo arricchire. Las Casas fu encomendero sino al 1514, prima a Hispaniola e dopo a Cuba, e confesserà in età avanzata , che come tutti gli altri encomenderos spagnoli, era stato avido e non risparmiava i suoi indios.
Una piccola parentesi sul significato dell’encomienda (affidamento) per chiarire il meccanismo.
In pratica l’encomienda era un sistema di servitù imposto agli indios che venivano ripartiti come pecore tra i coloni spagnoli detti così encomenderos. Questi, a piacere li avrebbero utilizzati in miniera o nei campi, avendo però l’impegno di catechizzarli e renderli meno selvaggi ed avevano su di loro diritto di vita e di morte.. . Sulle prime era un sistema non autorizzato, in seguito si ebbe la legalizzazione reale con la creazione di encomiendas a Hispaniola e susseguentemente sul resto dei possedimenti spagnoli. I Re Cattolici concessero il permesso di mettere in schiavitù gli indios che si ribellavano e “i cannibali” che rifiutavano di convertirsi al cristianesimo. Furbescamente si facevano passare indios pacifici per feroci cannibali per poterli così utilizzare nelle encomiendas come schiavi.
Le braccia degli schiavi non bastavano per il lavoro crescente per l’estrazione dell’oro e così un’ordinanza reale del 20 marzo 1503 permise al neo governatore delle Indie, Don Nicolás de Ovando, di servirsi del lavoro degli indios per estrarre più oro, avvertendo però che gli indios non fossero maltrattati e che venissero pagati per il lavoro prestato. Poco tempo dopo Ovando fece presente alla Regina che la troppa libertà aveva fatto si che gli indios rifiutassero di lavorare. La Regina rispose il 30 dicembre del 1503 stabilendo l’obbligatorietà del lavoro indigeno, confermando altresì al governatore di continuare a trattare cristianamente gli indios e remunerarli del lavoro effettuto.
—————————————————————-
Il 21 dicembre 1511, quarta domenica dell’avvento, ebbe occasione di ascoltare all’Hispaniola un sermone appassionato del frate domenicano Antonio de Montesinos che criticava la pratica dell’encomienda coloniale spagnola e l’abuso del popolo Taino, con parole di fuoco: “Questa voce vi dice che siete tutti in peccato mortale, che in esso vivete e che in esso morirete per la crudeltà e la tirannia che usate contro queste genti innocenti. Dite, con quale diritto e con quale giustizia tenete in sì crudele e orribile servitù questi indiani ? Con quale autorità avete condotto sì detestabili guerre contro queste genti che vivevano mansuete e pacifiche nelle loro terre, in queste terre dove in numero infinito li avete annientati con morti e scempi di cui mai s’era udito prima ?… “.
Un sermone rimasto famoso e che trasformò completamente la vita di Bartolomé de Las Casas, tanto che lo stesso anno decise di entrare nell’ordine domenicano e prendere gli ordini sacri iniziando il suo apostolato di evangelizzazione denunziando al governo gli eccessi e le crudeltà degli Spagnoli.
————————————————————–
Sotto, statua di fray Antonio Montesinos alta 15 metri posizionata sul lungomare di Santo Domingo nella repubblica Dominicana, opera dello scultore messicano Antonio Castellanos.
La statua venne donata alla repubblica Dominicana nel 1982 dal governo messicano.
————————————————————————–
Nel 1513 venne ordinato sacerdote, diventando il primo prete ad essere ordinato nel Nuovo Mondo. Negli anni successivi seguirà a Cuba come cappellano, Pánfilo Narváez e Diego Velázquez. Si presume che il massacro di indiani in Caonao lo abbia portato a dedicare la sua vita alla difesa degli indios. Il fatto successe una sera del 1513 a Cuba. Una squadra di soldati spagnoli agli ordini di Pánfilo Narváez giunsero nel villaggio di Caonao dove senza motivo plausibile gli spagnoli massacrarono cinquecento fra uomini,donne, vecchi e bambini. Il cappellano della truppa agli ordini di Narváez era Bartolomé de Las Casas che assistette allo scempio e riuscì a confortare e battezzare un indio squartato da un fendente di un soldato spagnolo.
Nella Pasqua del 1514 officiò messa davanti ai coloni spagnoli di Cuba, decidendo di rinunciare alla sua ricca encomienda cubana, e tenendo un sermone della stessa durezza di quello tenuto da Montesinos. Dal pulpito disse di condannare l’istituzione dell’encomienda ingiungendo agli esterrefatti coloni spagnoli di rinunciare agli indios che erano loro stati assegnati. Vista però l’ostilità dei coloni e sicuro di non poter far niente per cambiare le cose restando nella colonia, decise di partire per la Spagna.
Bartolomé de Las Casas in un dipinto del 1856 di Constantino Brumidi (Roma 1805 – Washington 1880) al Campidoglio di Washington D.C. .
Brumidi era nato a Roma da padre greco e madre italiana e in seguito venne naturalizzato statunitense.
————————————————- —
Bartolomé de Las Casas in una pittura allegorica del messicano Félix Parra Hernández ( Michoacán 1845 – Tacubaya, Città del Messico 1919).
L’opera realizzata nel 1875 venne esposta al Centennial International Exposition di Filadelfia nel 1876.
—————————————————————–
Fu il cardinale Jiménez Cisneros che gli diede il titolo di “procuratore e protettore universale di tutti gli Indios ” e che nel 1520 lo autorizzò a fondare una colonia a Santo Domingo; tentativo non riuscito. Tentativo riuscito invece a Cumana in Venezuela nel 520.
————————————————————
Rara incisione del 1859 stampata su carta dal titolo ” Las Casas fonde une colonie indienne a Cumana 1520″.
Estratta dalla “Galerie V. Adam” per la pregiata e rara opera “Universite de France – Atlas Universel Historique et Géographique”, edita in Parigi nel 1859 da A. Houzé, membro della Società di geografia.
——————————————————
Dei suoi dodici anni trascorsi alle Indie, dal 1502 al 1514, lascerà una descrizione nella sua opera “Brevissima relazione della distruzione delle Indie” data alle stampe nel 1542. Un minuzioso elenco dei crimini effettuati dalla colonizzazione spagnola.
———————————————-
La relazione ebbe grande influenza sulla liberazione per legge degli indios decretata dall’imperatore con le “Leyes Nuevas” del 1542-43, la cui applicazione fu tuttavia resa difficile dalla resistenza dei conquistadores, che arrivarono ad uccidere i messi del re che cercavano di farla rispettare.
In Spagna rimarrà sino alla sua morte con l’eccezione di due viaggi alle Indie.
——————————————————————–
Nel 1544 venne consacrato vescovo nella chiesa conventuale domenicana di San Pablo a Valladolid e inviato alla diocesi del Chiapas, situata nella penisola dello Yucatan, dove si recò nel 1546. L’ostilità dei coloni contrari alle nuove leggi per le quali venne incolpato lo costrinsero a tornare definitivamente in Spagna nel 1547.
———————————————————–
Nel 1550 nel corso di un dibattito voluto da Carlo V, di fronte alla Giunta di Valladolid, confutò la tesi del cronista reale Juan Gines Sepúlveda che sosteneva la superiorità europea sugli indios, considerati idolatri, dediti a sacrifici umani e peccati contro natura. Las Casas affermava la naturale bontà degli indios “senza malizia” dando inizio al mito del buon selvaggio. La disputa si concluse dopo cinque giorni in un nulla di fatto con l’Ordine dei Domenicani che non prese posizione per nessuno dei due. Da quel momento Bartolomé de Lasa Casas non ritornò più in America, ma visse quasi sempre nel convento di San Gregorio a Valladolid, continuando, vecchissimo, a scrivere lettere e trattati in difesa degli Indiani .
Lasciò il convento di San Gregorio nel 1560 per seguire la corte a Toledo e poi a Madrid dove Filippo II aveva stabilito la capitale. Prese alloggio presso il convento domenicano nostra Signora de Atocha dove morì nel 1566. Nel suo testamento lasciò alcune disposizioni rivolte ai confratelli di San Gregorio ai quali donava i manoscritti delle sue opere, e soprattutto la sua “Historia general de las Indias” stabilendo che il priore si dovrà impegnare a non lasciar uscire il manoscritto dal convento ” se non per farlo stampare, quando Dio indicherà che è arrivato il momento”.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.