
Juan de la Cosa ( Santoña 1460 – Yurbacos 1510).
Padrone e proprietario della Santa Maria il cui nome originario era La Gallega perchè probabilmente venne costruita in Galizia. Pare che i suoi marinai la chiamassero Marigalante. Bartolomeo de Las Casas non usò mai i nomi La Gallega, Marigalante o Santa María nei suoi scritti, indicandola semplicemente come la Capitana o La Nao (la nave).
La Santa Maria fece naufragio la notte di Natale del 1492 e Juan de la Cosa per la perdita subita ricevette poi un risarcimento.
Nel 1493 partecipò anche al secondo viaggio di Cristoforo Colombo alle Indie, imbarcando come pilota al comando della nave Santa Clara. In questo secondo viaggio era presente anche Alonso de Ojeda o Hojeda (Cuenca tra il 1466 e il 1470 – San Domingo 1515 circa) , nipote dell’arcivescovo di Siviglia don Juan Rodriguez de Fonseca nominato dai Reali capo del Banco Reale del Traffico con le Indie. Ojeda durante il viaggio si distinse per il suo coraggio catturando, tra l’altro, il cacicco Caonabò.

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Re Ferdinando in aperta violazione delle capitolazioni concluse con Cristoforo Colombo, dette un mandato a Alonso de Ojeda di esplorare la zona alle foci dell’Orinoco. La zona era stata esplorata nell’agosto del 1498 da Cristoforo Colombo durante il suo terzo viaggio alle Indie. All’Ojeda furono consegnate dallo zio , don Juan Rodriguez de Fonseca, notizie riservate come la carta e la relazione dell’Ammiraglio. Alla spedizione partita il 18 maggio 1499 parteciparono Amerigo Vespucci e come pilota e cartografo Juan de la Cosa.
In questo viaggio i tre esploratori percorsero la costa occidentale dell’Africa sino alle isole del Capo Verde, prendendo la stessa direzione che aveva preso Colombo un anno prima, ma con una lieve deviazione in direzione sud-ovest. Arrivati davanti alle coste dell’odierna Guyana, Amerigo Vespucci con alcune nave prese una rotta più a sud, mentre la flotta con Ojeda e Juan de la Cosa giunse alle bocche dei fiumi Esequibo e Orinoco nel golfo di Paria, esplorando le isole di Trinidad e Margarita. Venne poi avvistata Curaçao che chiamarono isola dei Giganti perché credettero avervi osservato indígeni di grande statura. Più avanti scoprirono l’isola di Aruba e la penisola che sarebbe stata chiamata Coro e visitarono l’isola de los Frailes.
Costeggiata la penisola di Paraguanà procedettero in direzione sud inoltrandosi in un golfo, per poi attraversare uno stretto e basso passaggio tra banchi di sabbia, isole sabbiose ed un’isola calcarea (isola di Toas), formanti una barriera che portava ad un lago di acque salmastre (l’attuale lago di Maracaibo), battezzato lago di San Bartolomé, dato che venne scoperto il giorno 24 agosto del 1499 (giorno di San Bartolomeo). Successivamente, percorrendo questo lago sulla sponda est arrivarono allo sbocco di un fiume di acque coperte da limo verde (Rio Limon) , in una laguna (Sinamaica) che successivamente chiamarono Venezuela o Piccola Venecia, dal momento che c’era un abitato nella laguna che aveva case costruite su palafitte, una versione rustica e tropicale che ricordava la città di Venezia. Alcune fonti indicano che gli stessi indigeni già chiamavano l’abitato Veniçuela senza ovviamente alcun riferimento a Venezia..
Quello che è interessante è che viene sfatata la leggenda che sia stato Vespucci a dare il nome al Venezuela. E a conferma , nel 1936 il governo venezuelano costruì la Ciudad Ojeda nella laguna di Maracaibo sulla sponda est in onore dell’esploratore con la seguente motivazione “El nombre de la ciudad es un homenaje a Alonso de Ojeda, primer europeo en llegar al lago de Maracaibo y a quien se le atribuye el nombre de Venezuela.”

Uscendo dal lago raggiunsero il Cabo de la Vela nella penisola della Guajira che chiamarono col nome locale Coquibacao. Poco dopo, la spedizione partì dal Cabo de la Vela verso Hispaniola con un bottino di perle ottenute in Paria, alcuni oggetti d’oro e alcuni schiavi.
Il 5 settembre giunsero a Yaquimo sulla costa sud dell’Hispaniola cercando di catturare altri nativi per aumentare lo scarso bottino. Il 20 settembre vennero attaccati da Roldàn, alcalde major di Hispaniola, seguace di Colombo, perchè Ojeda non aveva alcun diritto di esplorare il complesso delle terre scoperte da Colombo senza la sua previa autorizzazione. Questo produsse scontri anche fisici tra i due gruppi, con morti e feriti. Ojeda fu costretto a lasciare l’Hispaniola per rientrare a Cadice con un bottino scarso, anche se con molti indigeni. Navigarono tra l’isola di Cuba e la penisola della Florida per entrare poi nel Mar Oceano e giungere in Spagna ai primi del 1500. Venne così provata l’insularità di Cuba e l’esistenza della Florida. Ciò si evince dal fatto che Juan de la Cosa al ritorno dal viaggio redasse il famoso mappamondo che contiene la prima rappresentazione delle coste centroamericane e nel quale appunto si mostra Cuba come un’isola e la costa della Florida.
Nel 1501 viaggiò con Rodrigo de Bastidas e Vasco Núñez de Balboa. In questo viaggio Juan de la Cosa mappò le attuali coste del territorio colombiano dal Cabo de la Vela fino al golfo di Urabá.
Nel 1504 Juan de la Cosa fu nominato “Aguacil Mayor de Urabá”, e viaggiò nuovamente nel golfo di Urabá. Salvò la vita al mercante sivigliano Guerra e come ricompensa per le sue esplorazioni ricevette l’ingente somma di 50000 maravedis. Sbarcò poi nell’isola di Hispaniola dove rimase per due anni.
Nel 1509 imbarcò come pilota e cartografo in una spedizione capeggiata da Alonso de Ojeda. Ojeda volle fondare un avamposto dove attualmente si trova la città di Cartagena, zona allora abitata da feroci nativi che sorpresero gli spagnoli in una imboscata a Yurbacos (l’attuale Turbaco), nell’attuale Colombia. Juan de la Cosa morì colpito da frecce avvelenate..
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Planisfero di Juan de la Cosa, la Carta de marear o Mapa mundi, pergamena dipinta a mano nel porto di Santa Maria, datata 1500 realizzata in verticale con l’ovest verso nord. Contiene la prima rappresentazione conosciuta dei territori scoperti da Cristoforo Colombo e altri navigatori sino al 1500. Cuba risulta come isola e poco sopra sono collocate le Isole Abaco con il nome Habacoa e la penisola della Florida. La carta è esposta al Museo navale di Madrid.

La carta è disegnata su due pezzi uniti di pergamena e misura 96 × 183 centimetri. La parte superiore della carta, l’ovest, è arrotondata a causa della forma della pelle dell’animale con cui la pergamena è stata fabbricata. In alto si trova raffigurato San Cristoforo che attraversa il fiume con il bambino Gesù, probabile riferimento a Cristoforo Colombo. Sotto di essa un’iscrizione indica il nome dell’autore: Juan de la cosa la fizo en el puerto de S: maa en año de 1500.

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Parte occidentale del Mappamondo di Juan de la Cosa.

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Si pensa che la mappa sia stata rubata nel 1810 da Napoleone dall’ Archivio Segreto in Vaticano. Dopo la caduta del Bonaparte fu scoperta nel 1832 in una libreria parigina dallo scienziato francese e appassionato di mappe Charles Walckenaer.
Dopo la morte di Walckenaer nel 1853, la mappa fu acquistata dalla regina di Spagna e riportata a Madrid.
La mappa, messa per comodità orizzontalmente, è composta da due pannelli. Da un lato ci sono Europa, Africa e Asia. Dall’altro il Nuovo Mondo trovato da Colombo tra il 1492 e il 1500. I due pannelli sono disegnati su scale diverse, con il nuovo mondo su scala più ampia. Venne realizzata nel Puerto de Santa Maria in Andalusia nel 1500.

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La Carta de marear o Mapa mundi attualmente al Museo Naval di Madrid.
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